UTLAC 60 Lake Como Ultra Trail 2024: la mia esperienza

Irene Mantica alla UTLAC 60 Lake Como

Como, 11/05/2024

Casa, ore 4:00, suona la sveglia, mi alzo senza neanche sentirmi troppo stanca, come se mi sentissi pronta per quello che sarei andata ad affrontare. Mi vesto subito con i vestiti della gara, curante di non dimenticare nulla, e vado in cucina a fare colazione, religiosamente tre ore prima della partenza, sicura che così non potrò avere alcun risentimento a livello di stomaco. Dopo aver finito, parto subito per Lecco. Non sentivo l’ansia nè lì, nè durante il viaggio in bus da Lecco a Como assieme agli altri concorrenti. Ho imparato col tempo che in questo tipo di gare l’ansia non fa altro che togliermi inutilmente energie. Arriviamo a Como con un largo anticipo, e ne approfitto per fare due passi sul lungolago con qualche amico. Il cielo non era completamente limpido: c’erano giusto quelle poche nuvole che mi avrebbero aiutata a patire meno il caldo in salita, e di fatti, di lì a mezz’ora, mi resi conto della loro utilità.

Una partenza proprio col botto: i primi 7 km di gara sono stati un vertical da circa 1200 metri di dislivello verso il monte Boletto, dopo il quale è iniziato un piacevolissimo sali e scendi verso la Colma di Sormano. I saliscendi, proprio quei saliscendi che mi piacciono.

Dopo qualche centinaio di metri alla fine della salita del monte Boletto, sento che finalmente il motore diesel inizia finalmente ad accendersi, e cerco di mantenere un ritmo corsa costante, ma non esagerato, per recuperare posizioni. Arrivata alla Colma di Sormano, avevo recuperato già 60 posizioni, ma sapevo che dovevo tenere un ritmo costante, che sapevo che potevo sfruttare per altri 40 km di gara da lì. Dopo 20 km, ho raggiunto il primo vero ristoro, dopo un inutilissimo ristoro posizionato a neanche 3 km dall’inizio della gara. Mangio, bevo e mi porto dietro qualcosa, perchè purtroppo, come tutti gli altri, so che per almeno altri 18 km non ci saranno altri ristori, quindi meglio prendere qualcosa in più.

Dalla Colma, dopo 8 km di faticosa salita, si giunge in cima al Monte San Primo. Nessun ristoro ad attenderci: bisogna buttarsi a capofitto fino a Bellagio per trovare il successivo. Prendo dunque qualche pezzo di cioccolato che mi ero presa all’ultimo ristoro, e mi “butto” anch’io. “Buttarsi”, per quello che ho fatto io, è già un complimento: gli altri si buttavano, io pensavo solo a risparmiarmi le articolazioni su una discesa così tecnica ed accidentata. Pensando alla caduta che feci al GTC 55, cerco di concentrarmi più che posso in discesa, calcolando la traiettoria e cercando solidi appoggi dove atterrare, sottoponendo i quadricipiti a un primo round di sfascio. Dopo circa 5 ore di gara, arrivo a Bellagio: alla fine la discesa non è stata troppo sofferta, avendo dosato la forza frenante per quelle successive, ma anche grazie a una mini salita verso il monte Nuvolone a metà discesa.

Da Bellagio si prosegue verso il famosissimo Ghisallo, facendo diversi saliscendi, abbastanza piacevoli perchè all’ombra del bosco, e con un’incantevole vista sul lago. Proprio in quel tratto così mistico, quasi mi sentivo più leggera e tranquilla, quasi rassicurata dal fatto di aver superato la metà della gara. In quel clima piacevole, ho incontrato persino il mio amico Max, impegnato in un’impresa ben più grande della mia: stava per concludere la UTLAC 250: era in gara ormai da quasi tre giorni, dopo aver fatto il giro di tutto il lago di Como! Nonostante la sua fatica e poche ore di sonno, riesce comunque ad incoraggiarmi e ad incitarmi di non mollare e proseguire forte verso la fine della gara. Non lo volevo deludere: Max è il mio amico con cui, assieme all’altro amico Beppe, conclusi la Monza Resegone lo scorso anno, e che replicherò con entrambi quest’anno. Ritrovata la forza mentale, mi avvio verso il 50esimo km a Valbrona, dove per la prima volta mi sembra di affacciarmi davanti a un muro.

Statua in onore del ciclista al Ghisallo
Statua in onore del ciclista al Ghisallo

Un muro proprio, di 6 km e 800 D+, per superare l’ultima salita della gara.

Ma fu proprio in quel momento che altri 6 amici, con cui mi davo il cambio in salita e in discesa durante la gara mi dissero: “Allora Miss Camoscio, ci fai ancora strada tu in salita?” Non volevo arrendermi, strinsi forte le bacchette, ho sfruttato al massimo le bacchette, e andai in cima, verso il rifugio SEV. Passo dopo passo, cercai di non guardare mai in alto, e di concentrarmi sui miei compagni, per non pensare ai km e alla salita. Più volte li invitai a non pensare a quanti metri di dislivello mancassero o a quanti km mancassero alla fine della gara: quando saremo in cima, saremo in cima! Inutile rodersi energie mentali per questo.

Rifugio SEV visto dai Corni di Canzo
Rifugio SEV visto dai Corni di Canzo

Una volta in cima all’ultima salita ho visto Lecco in lontananza, e ho capito che ero veramente vicina a completare il mio obiettivo. E, dopo altri 8 km di discesa e lungolago, sono arrivata al traguardo, incredula ed entusiasta di quello che avevo fatto. 65 km e 4000 metri di dislivello in cui non ho mai smesso di credere in me stessa, dove ho messo alla prova tutte le mie energie fisiche e mentali, pensando al paesaggio e condividendo ogni tipo di emozione con tutti i miei compagni di viaggio. Un’esperienza che di sicuro rifarei, nonostante i suoi diversi scogli. D’altronde, se non ci fossero stati, non sarebbero stati una bella storia da raccontare.

Panorama all’arrivo a Lecco
Panorama all’arrivo a Lecco

Irene Mantica

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