La gazzetta di Clara ep. 65
La giornata non è ancora terminata e, sul calare della sera, i muscoli iniziano a dare i primi segni di protesta. I quadricipiti tirano verso il basso e la forza di gravità mi schiaccia.
Il giorno dopo, quando mi alzo, ho una piccola illusione: le gambe sono stanche, ma nulla di più. Il verdetto finale arriva verso le dieci di mattina. Sono seduta, quatta quatta sulla sedia: composta, silenziosa, ordinata, immersa nel mio lavoro. Ad un certo punto, è come se un granchio avesse stretto il mio quadricipite con le sue chele. Una presa sicura, che minuto dopo minuto diventa sempre più forte. Il granchio mi guarda sornione, con il ghigno di chi sa esattamente cosa sta facendo.
Ripenso ai miei 820 metri di dislivello, ai 22 chilometri percorsi il giorno prima; ai sentieri nel bosco, ai silenzi, alle foglie verdi, ai profumi di corteccia, ai giochi di luci e ombre. Sono le dodici e il dolore aumenta. Incredula, mi rivedo nel pomeriggio precedente, distesa nella vasca da bagno. L’allenamento era stato lungo, ma poi avevo trascorso un pomeriggio calmo e rilassante. Mi chiedo come sia possibile essere ridotta così, dopo essermi persino rilassata come una regina nella vasca da bagno. Per me è già un risultato: sto migliorando nel concedermi riposo, anche se non è il mio punto forte. Com’è possibile? Perché?
Il mio sguardo si fa assonnato, le mie braccia diventano pesanti.
I miei pensieri si fanno sempre più offuscati, nascosti da un velo di stanchezza.
Mi alzo, passeggio, mi bagno il viso.
Appena torno a sedermi, il dolore mi lega allo schienale.
È come se un sonnifero si fosse infiltrato di nascosto nel mio corpo, e avesse cominciato a fare effetto all’improvviso.
Sono le 15:45. La mia buona volontà ha ceduto e sono sulla strada del ritorno.
Puntuale come sempre, arriva la telefonata di Marco: «Buongiorno, come stai?»
Le mie forze sono agli sgoccioli. Non so da dove iniziare.
Sussurro pensieri confusi: «L’allenamento di ieri… ma io pensavo di essere allenata… che male… Ho l’acido lattico negli occhi.»
Marco ride, un po’ preoccupato e un po’ divertito.
Anch’io sorrido, anche se mi costa fatica.
«Ieri ero così felice, libera, spensierata. Correvo… e ora non riesco a reggermi in piedi.
Almeno sembra che mi sia passato un camion di qualche tonnellata sulle gambe>>.
Scoppio a ridere.
«La cosa positiva è che ho male a entrambe le gambe nello stesso modo.»
Marco ascolta attento e poi, in due parole, dice tutto:
«È normale».
«È normale», ripeto e sospiro spazientata.
Con un sorriso affermo: «Non vedo l’ora di tornare nella foresta».



Clara

