Generale, queste cinque stelle – Tokyo 02/03/2025

maratona di tokyo 2025

di Stefano Muzzarelli

Generale, queste cinque stelle.

Generale, queste cinque stelle. Queste cinque lacrime sulla mia pelle. Che senso hanno, dentro al rumore di questo treno che va veloce verso il Terminal 3 dell’aeroporto di Haneda, mentre fuori dal finestrino brillano al sole di marzo le increspature della superficie del mare (sono davvero all’interno del più classico degli anime anni ottanta). Come ogni volta, il Giappone, fa riaffiorare sensazioni ed emozioni d’infanzia. Come se da piccoli avessimo imparato i codici di una lingua, oserei dire anche di una cultura, che poi abbiamo accantonato, ma mai dimenticato del tutto. Non divaghiamo. Quel senso, dicevo, l’ho trovato poi dentro al rumore di quel treno che va veloce verso il Terminal 3 dell’aeroporto di Haneda, o, forse, magari, l’ho trovato altrove, nascosto in qualche angolo di questa incredibile città?! Deluderò tutti e lo farò di nuovo, non avendo, nemmeno stavolta, una risposta. Non si impara mai a fare i conti con quella cosa lì, chissà cos’è, che ti nasconde il senso, proprio quando ormai sembra essere vicinissimo, ad un centimetro da te, generoso di lusinghe nel fartelo credere che, in un modo o nell’altro, è ormai pronto a mostrarsi in tutta la sua desiderata pienezza.

Quando facciamo qualcosa, “il senso” spesso, vogliono mettercelo dentro gli altri al posto tuo, ma ti rendi presto conto che non è quello che vuoi metterci tu, almeno non quello, almeno non così. Passatemi la definizione, ma la chiamerei davvero la crisi della quinta stella. Per me, questo incredibile percorso potrebbe anche fermarsi qui. Non fraintendetemi; sono state esperienze incredibili, che mi hanno permesso di viaggiare tanto e ne sono state occasione e scusa; riconosco di essere una persona fortunata e privilegiata ad avervi preso parte con anche buoni, per il mio livello amatoriale, risultati. Ed alla vigilia dell’ultimo appuntamento, però, sono più i dubbi che le certezze. Mi chiedo infatti oggi, se forse questa qui sia davvero la mia dimensione, se davvero corrisponda a ciò che ho cercato ed a ciò che cerco; o forse perché sono cambiato, sono cambiate le cose nel tempo ed ho modificato ed affinato la percezione di me stesso e del mondo che mi circonda. Al solito, invece di dare risposte, mi trovo solo a fare solo nuove domande. E chiedo scusa se non mi addentrerò nell’analisi tecnica della gara, ma veramente è questo il bagaglio di emozioni che mi ha lasciato, quello che mi sento di mettere in fila, tentando, come sempre, di interpretare la realtà del mondo di come lo percepisco.

Coloro i quali avranno voglia di continuare a leggere queste confuse righe, sappiano fin da subito che non troveranno informazioni tecniche (per quelle c’è internet, dopotutto) e, cosa più importante, non avranno risposte, ma solo il racconto di un’esperienza personalissima e, come tale, da non fare propria o prendere ad esempio; non sono qui ad indicare direzioni, tantomeno quelle giuste. Detto ciò, debbo sempre la ricerca della verità a me stesso e di conseguenza anche a chi avrà voglia di leggere oltre.

Quello che vedo, quello che ho visto, quello che sento, quello che ho provato e percepito intorno a me, è la mancanza di un senso intimo e profondo che muove i più nel partecipare a questo genere di eventi, tenendo più che all’evento in sé, a tutto quello che è il contorno di estetica più “frivola”, palesata, ahimè, nel “durante” dell’evento stesso. Tra influencers, cellulari, mezzi musicisti, motivatori della domenica e chi più ne ha più ne metta, sento di essere circondato da tanta apparenza ed ostentazione di qualcosa che nemmeno capisco cosa fino in fondo. Non riesco a mettere a fuoco. Ma non mi piace. Ed è quello che fa più rumore. Sono certo che ci siano e ci siano state moltissime ragioni di senso forte lì dentro, ma queste non si mostrano e rimangono, come è giusto che sia, nella personalissima dimensione del singolo individuo. Conoscere e condividere queste profondità, quando e se è possibile, è ciò che poi renderebbe speciale quel percorso che si fa assieme, indipendentemente dal risultato e dalle nostre singole diversità.

Diciamo che la sensazione, non so se l’abbiate mai provata, è come quella di trovarsi alla Prima della Scala ad assistere a quell’opera che fin da bambini avete sognato e della quale conoscete a memoria ogni nota ed ogni parola, ma poi vi trovate a fianco il politico di turno ed il commendatore milanese con signora impellicciata al seguito, che sono lì perché essere lì costituisce uno “status symbol“ irrinunciabile e, nonostante ciò, invece di starsene in silenzio e rispettare chi è presente per l’evento in sé, anzi, interferiscono, disturbano, parlano a voce alta, fanno battute fuori luogo, scrollano post sul telefonino, fanno storie di Instagram e chiamano l’amico (finto) in vacanza a Cortina. Insomma, ci siamo capiti. Perché il problema, parlandoci altrettanto chiaramente, sono sempre le persone ed il loro modo di rapportarsi con sé stesse e con gli altri. Correre, per me, – e non voglio insegnare niente a nessuno, né affermare che sia giusto o sbagliato quello che sto dicendo o che voglia criticare altre scelte – ma certamente vero per me -, non è mai stato fare tutto questo e condividere niente, semmai, al contrario, è stato ed è, prendermi del tempo, ascoltare le sensazioni interiori, comunicare con il mio io naturale. Lontano il più possibile dalle lucine colorate, dalle apparenze, dalle distrazioni esterne e, soprattutto, dalle altre persone. Questa è la verità. È che mi sento sempre più intollerante verso chi affronta questa disciplina in questa maniera ed interferisce con la mia bolla perfetta che ricerco e per la quale pretenderei spazio e rispetto. Ma capisco che tutto ciò sia davvero utopistico in un evento di questa portata, se non altro per le tipologie di umanità varia che statisticamente non può che non portare con sé.

Ecco il motivo di questa sorta di “crisi stellata”. Ma magari passerà, o forse peggiorerà, vedremo. Per me, questo percorso, è sempre stato, prima di tutto, una sfida sopratutto agonistica ed ho fatto qualsiasi cosa nelle mie possibilità perché lo fosse sempre ed al suo massimo grado. Ho sacrificato tempo a me stesso, a tante cose, a tante persone, per arrivare a capire cosa si sarebbe provato una volta giunti lì a quel traguardo. Ed avrebbero dovuto andare bene tante cose: le lotterie, i tempi di qualifica, essere pazienti, anno dopo anno, con un seguito di numerosi: “Oh no, anche questa volta non mi hanno preso”; una sfida agonistica e non un viaggio premio per fare una vacanza con qualche tour operator (non si offenda chi lo fa, non è assolutamente una critica, è solo che io, nel modo che io ho scelto, non l’ho previsto né voluto fare, seguendo il principio auto impostomi, perché poi, i principi sono importanti e ti aiutano a dirigerti verso quella ricerca di senso di cui si sta tentando di parlare. Adesso che comunque lo vedo, lì davanti a me, ad un passo, non posso far altro che constatare che mi sta mancando qualcosa, nonostante arrivi all’ultimo appuntamento come io ho voluto fare fin dal primo giorno, nell’ormai lontano 2012, quando tentai per la prima volta la lotteria per una majors.

Ora che sono quasi su quel traguardo, non mi aspetto niente, ma sono già deluso, come si dice. Si dovrà voltare pagina ed iniziare un nuovo capitolo di questo libro comunque avvincente. Tokyo mi ha portato questa consapevolezza, forse di essere inadatto per un contesto del genere, diciamo proprio un disadattato, della peggior razza, di quelli intolleranti verso il mondo intero. Ripeto, questa non è la verità assoluta, ma la verità “per me”, non ho in tasca un bel niente se non la verità del mio sentire e che offro a voi come spunto, affinché possiate indagare, se vi va, la verità del vostro. La ricerca non è mai finita e non finirà mai; cercare quel senso, quella cosa che ci spinge a non fermarsi mai e che ci fa alzare ogni mattina con l’illusione di potercela fare ogni giorno. E ricercare stanca. Forse è solo questa ricerca che ci fa sentire e che ci fa restare vivi, sebbene si sappia già, alla fine, che non si troverà niente. Un viaggio che si fa per l’unica ragione del viaggio: viaggiare. Forse sta dentro noi stessi, quel piccolo mondo (im)perfetto, nella parte più recondita del nostro essere umani, che ci fa affermare: “Ci sono; sono vivo; sono sangue, muscoli e volontà; sono natura; sono evoluzione; ascoltate tutti il grido di incondizionata vitalità che si leva da questo inutile essere da un insignificante ultimo granello di polvere dell’universo”; aggiungerei: “Per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità”. Ma questo, già lo dice il poeta.

Tra due minuti, è quasi giorno ed è quasi casa.

つづく

P.S. Per dovere di cronaca, ho chiuso in 3h 08min 20sec. con buona pace di tale Harry Styles di cui non conoscevo l’esistenza prima di domenica scorsa. Per cui, alla fine, ho fatto anche cose buone. Meno buone, invece, nell’essermi dilungato nella scrittura, ma le quasi quindici ore di volo tra Tokyo e Roma, l’offerta scadente di cinema ed il cibo che non era granché, hanno fatto il resto. Mi perdonerete, se siete riusciti ad arrivare fin qui.

Leggi anche “Maratona di Berlino 2024

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