
Uno degli allenamenti che più mi piaceva svolgere era quello di corsa con variazioni di ritmo. Ti ritrovavi a coprire tanti km a medie elevate senza rendertene conto. Non c’erano gli orologi che ti davano l’andatura istantanea. Eri più libero dal controllo con relativi vantaggi e svantaggi. L’allenatore mi dava spesso queste indicazioni: – “Premi per bene sull’acceleratore nel tratto veloce per poi recuperare, ma ad un’andatura sveglia, nel tratto lento”.
In queste sedute mi appassionavo ad ascoltare il cuore. A capire come modulava il suo sforzo. Poi guardavo lo scorrere degli alberi della pineta. Percepivo velocità, mi caricavo, mi sentivo forte e concentrato sul gesto. Cercavo di mantenere linearità, forza, economia. Correvo studiando la mia corsa e le sensazioni che avvertivo. Mi interrogavo su quale fosse il ritmo reale, ma non mi avvalevo di alcuni passaggi da cui potevo capire l’andatura. Volevo rimanere libero nella ricerca di ciò che eseguivo. Doveva essere un fartlek libero da condizionamenti e questo cercavo.
Questi allenamenti in genere duravano da 40 minuti a 1 ora. A volte anche più. Mi riferisco alla fase variata senza includere le altre porzioni della sessione. Ad esempio l’uscita poteva essere di 1h40′ totale di cui 20′ lenti iniziali seguiti da un’ora alternando 3 minuti intensi ad 1′ medio per poi chiudere con 20′ lenti. Erano sedute in solitaria. Quelle invernali regalavano un’armonia interiore senza uguali. Il mio corpo proiettato nella pineta nascosto al mondo, ma presente a se stesso. Chiudere gli occhi e risentire quel correre è come riemergere in un’oasi di pace.
Massimo
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