Correre, storie di un inizio pt.3

Gazzetta di Clara

La gazzetta di Clara ep. 27

“Devo scegliere una disciplina? Quale scegliere?”

“No, io gioco a tennis tavolo. Le campestri però mi piacciono”.

A quella risposta i visi intorno a me iniziarono a fare espressioni ancora più perplesse. Quello che successe nelle ore e nei giorni a venire non è più presente nei miei ricordi. Immagino però che ognuno di noi abbia almeno una gara che custodisce nei suoi pensieri come un oggetto prezioso. Per me la gara di Cagnes-sur-Mer è una di queste. Suscitò in me una riga di emozioni e ricordi che custodisco con cura come la lettera che mi scrisse mia nonna per il diciottesimo compleanno.

“Cosa faccio? Continuo entrambe? Devo scegliere una disciplina? Quale scegliere?”

Queste frasi mi rimbalzavano sovente nella testa, accompagnate da pensieri che dipingevano scenari diversi tra loro. Talvolta mi distraevano dal seguire le lezioni scolastiche: sulla lavagna vedevo prati infangati e palline bianche e arancioni muoversi fra le scritte di gesso. Iniziato il liceo, talvolta, veniva a trovarmi a ricreazione Viola che era in un’altra sezione ma amava muoversi quanto me. Da lei mi sentivo compresa perfettamente. Il suo primo amore era stato il basket, quello eterno la corsa. Se trovai la strada verso una società di atletica fu grazie a lei che con i suoi occhi dolci e il sorriso sincero mi fece coraggio per andare a provare un allenamento.

Fino ad allora ero abituata a correre solo d’impulso. Quel giorno invece mi ritrovai come in un luogo con confini ben delineati, insieme a tanti visi a me sconosciuti. La pioggia martellava la nostra pelle e il vento ci spostava senza controllo. Pochi superstiti si erano ritrovati sulla pista d’atletica e l’allenatore con sguardo arcigno e voce tagliente disse “sessanta minuti”. Io non capivo. Iniziai a seguire il gruppo. Intimidita, ascoltavo i loro discorsi su videogiochi e libri fantasy. Per fortuna c’era Viola. Taciturna, dettava il tempo. Ricordo di quel giorno il cielo buio e le luci dei lampioni, gli scrosci dell’acqua e una verità lontana da quella che portavo nel cuore. Dopo quell’allenamento non tornai per lungo tempo al campo. A spaventarmi non furono né la fatica, né le intemperie, ma la paura di lasciare uno sport che fino ad allora mi aveva cresciuta. Infine fu il dolore ad aiutarmi a cambiare direzione. Un cambio di rotta traumatico ma salvifico. Un viaggio incerto verso un territorio tutto da esplorare, dove avvertivo di sentirmi più libera di ascoltare il mio istinto e di vivere senza pressioni le sensazioni dettate dal mio animo e dal mio corpo. 

scegliere disciplina

Clara

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