
La montagna è sempre stata dentro di me.
L’ho vissuta durante l’infanzia, passando le estati sulle Dolomiti, e la roccia mi ha sempre riempito gli occhi di bellissimi momenti. Invidiavo quelli che erano capaci di fare imprese epiche ed emozionanti, dalle lunghe traversate alle arrampicate.
Durante l’adolescenza l’ho un po’ stupidamente messa da parte per lasciare spazio ad altre cose più frivole e molto meno emozionanti. Entra poi in gioco la corsa e la voglia di tornare sulle cime ad ammirare il mondo dall’alto, non importa quanto alto, quel poco che basta per vederlo dall’angolatura della semplice felicità.
Correre mi ha portato dalla pianura, alla collina fino alla montagna. Le prime scarpe da Trail, il primo camel back, un passo alla volta si riesce sempre più ad aumentare la pendenza e la soddisfazione di riuscire a raggiungere un obiettivo.

La corsa, specialmente sulle lunghe distanze, insegna a faticare, a sentire il ritmo del proprio passo e del battito del cuore; i benefici che dà sono una miriade e non li avevo capiti tutti finché non ho iniziato a fare viaggi in alta montagna; da un trekking in alta quota in Nepal, alla prima vetta sopra i 5000m del Kilimanjaro arrivando piano piano a toccare il bianco accecante della neve a 6400m del Monte Illimani in Bolivia (in foto).
Queste fotografie parlano di un bellissimo viaggio che anni fa, con altri tre amici fidati, feci in sud America in particolare nella cordillera Huayhuash sulle Ande in Perù. Meta decisamente poco turistica perché difficile da raggiungere, ma la sua semplice e pura bellezza ci ha ripagato di ogni sforzo per raggiungerla.



Durante quei giorni non abbiamo incontrato nessuno; ci accompagnavano solamente una guida e un altro signore che viaggiava con un asinello per portare le nostre provviste. Una sera cercando di conversare, un po’ a gesti e un po’ in spagnolo, ci ha detto che fortunatamente aveva le scarpe, tipo mocassino, perché era molto freddo; gliele aveva date la moglie del figlio che faceva la poliziotta; erano due o tre numeri meno del suo e doveva avere un dolore assurdo alle dita. Eppure ha fatto tutto il giro così, con il sorriso sulle labbra; secondo me ci avrebbe corso anche una maratona senza fiatare!
Il vento freddo ci ha accompagnati durante tutti i 10 giorni di trekking senza darci pace: camminare al freddo, mangiare al freddo, dormire al freddo. Ricordo pochi momenti di tepore, ma mi è rimasta impressa la gioia che si prova a stare così in alto.
La corsa in montagna mi ha aiutato ad allenare la resistenza e ad ascoltare il mio corpo affaticato procedere passo dopo passo; grazie all’allenamento e alla buona forma fisica non ho sofferto di mal di montagna; allo stesso tempo mi ha regalato la sicurezza del passo in salita e discesa e il gusto di osservare quello che ci sta intorno.
Rallentare, fermarsi, prendere fiato, scattare istantanee con gli occhi che nemmeno una vera pellicola sarebbe in grado di rappresentare.
Sabrina Marangon
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