Ciao, mi chiamo Anna e sono una donna che corre.
Ogni giorno mi sveglio alle 5, indosso le scarpette ed esco per la mia corsa quotidiana. Il paese dorme, o almeno così sembra, ma io lo so che dalle finestre delle case qualche occhio è già aperto, sveglio e vigile. Li sento tutti puntati su di me, sono gli sguardi delle altre mamme ma cerco di non pensarci per godere a pieno della mia ora di evasione. Scaccio i pensieri negativi, assaporo il buono dell’attività all’aperto: l’aria fresca, i colori dell’alba, il profumo del pane del forno del paese dove mi fermo ogni giorno per comprare la pizza rossa, la preferita di Luca per la merenda a scuola. Torno a casa correndo con in mano la busta di carta del panificio, è calda e d’inverno dà tepore alle mani, è quasi una coccola. Apparecchio per la colazione con cura, è il momento della giornata che preferisco: Luca ed io cantiamo le sigle dei cartoni animati per iniziare la giornata con allegria prima di affrontare i nostri impegni, lui di studente e io di lavoratrice. Lo sveglio, sorseggiamo qualcosa di caldo, ci gustiamo la colazione e cantiamo, ma è subito l’ora di andare a scuola. Lo accompagno all’entrata, per me è il momento più difficile della giornata, non tanto perché devo staccarmi da lui ma perché, ancora in tenuta da running, devo sfilare davanti agli sguardi inquisitori delle altre mamme e ascoltare i soliti commenti pronunciati sottovoce (ma non troppo): “anche stamattina era a correre, ma che razza di madre!”, “secondo me è pazza”, “povero figliolo”. La passerella della vergogna è finita, torno a casa e sotto la doccia calda lavo via l’imbarazzo, per un attimo penso che vorrei essere libera di portare mio figlio a scuola in qualsiasi veste senza dover essere giudicata, in fondo non sto facendo nulla di male, ma alla fine va bene così: mi accontento di quell’ora di libertà che mi dà la corsa e faccio finta di non aver sentito i giudizi delle mie coetanee, tanto loro non capirebbero.
Ciao, mi chiamo Sara e sono una donna che corre.
Però non ditelo a nessuno, per favore, lui non capirebbe. Poverino, è tanto bravo ma non vuole che mi
dedichi ad altro oltre alla casa e al lavoro e lo capisco, ha paura che non riesca a fare tutto. Lui ci tiene a me, poi è tanto bravo, ha paura che mi stanchi e una moglie non deve mai essere stanca.
Vi spiego meglio, sono Sara, sono una cassiera e e corro di nascosto a mio marito. Ogni giorno, dopo il lavoro, mi cambio in fretta nel bagno del supermercato e scappo nei sentieri limitrofi. Ogni giorno un mix di paura e adrenalina mi attraversa la schiena, all’inizio sono sempre un po’ frenata, vorrei non andare, ma poi, mossi i primi passi, assaporo la libertà e non vorrei più smettere. Non è che io non sia libera con lui, poverino è tanto bravo, ma una moglie deve fare tante cose: deve stare zitta quando è il momento, essere impeccabile, accudire il marito e gestire la casa. Lui non mi aiuta, non perché non vuole farlo, ma perché lavora tanto poverino, è tanto bravo. Dopo la corsa sono felice, torno a casa e rassetto per bene ogni stanza, poi mi dedico con cura alla preparazione della cena, speriamo che gli piaccia. Poverino, è tanto bravo, ma se a volte sbaglio qualche ricetta in cucina, dà in escandescenza; lo capisco, a pranzo mangia un panino al volo, si merita una cena da re. Eccolo che arriva, devo togliermi dal volto l’espressione rilassata di chi ha fatto attività fisica e indossare le vesti della moglie premurosa, non è che io non sia una brava moglie, ma mi piace correre, che ci posso fare!
Ciao, mi chiamo Maria e sono una donna che corre.
Forse dovrei cambiare la formula: “ciao, sono Maria e non corro più”. Ogni sera cerco di farmi coraggio e tornare a correre, ma la paura vince sempre, il ricordo di quella sera mi paralizza. Tutte le volte che provo ad allacciarmi le scarpe riaffiorano nitide le sensazioni di quei momenti. Era una sera d’inverno e come ogni giorno, dopo il lavoro, ero solita uscire di casa per scacciare via le fatiche della giornata con una bella corsa.
Mi lasciai il portone alle spalle e iniziai a percorrere il vicolo che conduce sulla strada principale, è un vicolo lungo e buio, specialmente d’inverno quando, già alle 18 la notte avvolge tutto nell’ombra. Era freddo quella sera, ma sentire l’aria fresca pizzicarmi le guance era una delle sensazioni che più amavo della corsa.
Mentre il gomitolo di pensieri che mi avevano occupato la testa per tutta la giornata si districava, passo dopo passo, ritrovavo una nuova libertà mentale, tornavo a sentirmi leggera. La leggerezza appena riconquistata però durò ben poco, alzai lo sguardo e vidi in fondo al vicolo due figure maschili, mi parve strano perché in quella stradina solitamente incontravo solo un gattone nero infreddolito e impaurito dal rumore cadenzato dei miei passi al suolo. Inizialmente non detti molta importanza a quelle presenze finché uno dei due si rivolse a me dicendo: “ehi, signorina dove corri?”, e l’altro: “non lo sai che è maleducazione non salutare?”. Un brivido mi pervase e non era il freddo, avevo paura. I due uomini si avvicinarono, provai ad accelerare il passo, ma senza rendermene conto mi trovai con le spalle al muro del vicolo e i due uomini di fronte. Di quegli attimi di terrore ricordo poco, o forse non voglio ricordare, ricordo solo che, una volta tornata a casa mi precipitai sotto la doccia. Quella sera ne avevo più bisogno del solito, non per lavare la fatica e il sudore dell’allenamento che si era concluso prima del previsto, ma per spazzare via lacrime e disgusto, quel disgusto che ritorna ogni volta che provo a riallacciare le scarpette.
Ciao, mi chiamo Liza e sono una donna che corre.
Corro quando mi va: al mattino, alla sera, all’alba e con il buio. Corro senza dovermi nascondere da qualcuno. Corro senza essere giudicata. Sono Liza e corro libera.
È vero, porto sempre con me il cellulare perché “non si sa mai” ma sono comunque libera. Già, mi è capitato molte volte di dover cambiare strada perché avevo paura. Ah, una volta un uomo mi ha gridato “vestiti cretina” probabilmente perché la mia tenuta estiva da running gli è sembrata troppo succinta. Da quel giorno penso sempre, prima di uscire ad allenarmi, se il mio abbigliamento sia adeguato anche se non so bene a cosa debba essere adeguato se non al clima e alla prestazione sportiva.
Sono Liza e sono una donna che corre, non sono libera perché quando corro al buio ho paura, perché spesso capita che se passo davanti a un gruppo di uomini riceva commenti poco gradevoli, perché anche le altre donne a volte mi giudicano.
Alle donne che corrono, con l’augurio che un giorno possano correre libere!
Liza Bellandi
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