Epica, Firenze e pugni levati al cielo

profita alla firenze marathon

L’agonismo amatoriale è epico: non c’è niente che lo sia di più; e non parlo di corsa, di maratone o sport estremi. Anche se devi friggere un uovo e competi, quando ci metti tutto te stesso e rispettandolo vuoi annientare l’avversario, quell’uovo sarà epicamente affrittellato!

Poi possiamo passare allo specifico e disquisire attorno alle nostre competizioni, alle settimane che le precedono e alle vagonate di amenità chiacchierate che le seguono. Ma che si parta da un assunto; competere, senza aspettarsi compensi che non siano pacche sulle spalle, in contesti in cui prevalentemente si gareggi tra amatori, è e-pi-co.

Conosco uno, uno dei tanti, che in vista di una importante kermesse, essendo restato indietro coi programmi proposti dall’allenatore, ha ritenuto di far diventare settimane i giorni: per cui quattro allenamenti settimanali diventavano due “doppiette” il sabato e la domenica e via discorrendo; l’allenatore a strapparsi i pochi capelli residui e lui a rincorrere le ore di luce, che in inverno sono avare, per dribblare famiglia e lavoro, e ristrutturare le tabelle infrante. Nel condominio in cui vive si vocifera della presenza spaventosa di un grosso sorcio, che però pare abbia incrociato soltanto lui, rientrando da una seduta di “lunghissimo” chiusa alle due di notte: a qualcuno che gliene ha chiesto lui ha risposto “… non so, può essere, ma se io a quell’ora rientravo da un allenamento, vuoi che un ratto non potesse fare il mestiere suo?”. E-pi-co*.

E quell’altra? Gara alle porte, lei allenata di tutto punto ma col battesimo della figlia del cugino della zia programmato con orario esattamente coincidente con quello di una seduta di gruppo delle tante in cui tutti, per finalizzare, mettono sul campo vigore e tanta vanità. Per il battesimo, ovviamente, lei madrina! A cos’altro poter ricorrere se non al Covid? Test fasullo e faccina “di Munch” pubblicati in gigantografia sullo stato WHATSAPP tre giorni prima della celebrazione della neonata, cerimonia annullata e banchetto cancellato. Lei a sfrecciare – impavida – coi compagni. E-pi-ca.

Infine l’ultimo: già comprato brilloccone da consegnare all’amata per chiederle di sposarlo; programmata sede, momento e modalità di consegna. Pompa magna: ingaggiato quartetto d’archi e tre barche per arrivare al largo di Capri e, senza dare nell’occhio, inscenare la perfezione romantica.
Pronto anche il mare, calmo come non mai e sgombero da natanti impiccioni. Parte l’orchestra, barche che convergono, lei ancora imbambolata, lui con le mani in tasca ed ecco che ne esce fuori… un gel! UN GEL! Il giorno della gioielleria era passato anche da EPTATHLON e, una volta a casa, certo di fare la cosa giusta aveva riposto nella tasca dei pantaloni scelti per l’evento romantico il fagottino sbagliato: un integratore per chiederle di sposarla? La risposta, ovviamente: “Sì, ti sposo, ma visto che sei ben rifornito, solo dopo che a nuoto avrai compiuto il periplo di quel faraglione!”. E lui: in acqua! E-pi-co.

Ma veniamo a noi.

Domenica scorsa c’è stata Firenze; o meglio, Firenze c’è sempre, per nostra fortuna, ma domenica c’eravamo noi, a colorarla, percorrerla, un po’ possederla se volete, farcene inebriare, sentirla sotto i piedi, imprecarne la pietà, odiarla, averne fiducia; infine, amarla profondamente.

C’era insomma la maratona, a Firenze e, allo start, un freddo siberiano: le mie mani non rispondevano ai comandi, tanto che, costretto a spillare il pettorale sulla canotta in extremis, procedevo come ibernato, senza alcun controllo sensoriale. Risultato: una serie infinita di spillate sui polpastrelli e il pettorale “a pois”, sembrava il numero della Pimpa!

E i piedi! Ho ricordato di esserne dotato verso il 20°, quando sono passati direttamente dallo stato di surgelamento asensoriale a quello di indolenzimento lancinante; tanto che gli ultimi dieci kilometri ho preferito correrli contraendo le dita quasi a ogni passo, nell’illusione che quel flagello prima o poi mi graziasse. Nel frattempo, Clementine, la mia magica e bellissima compagna di squadra, tagliava il traguardo per prima, prima assoluta femminile; Massimo, il mio allenatore, si cimentava nel solito flipper tra le vie cittadine, per cercare di cogliere i momenti più importanti di ognuno dei suoi ragazzi, incitandoli come a far suonare di ciascuno l’armonia atletica più esaltante.

Clementine Mukandanga alla maratona di Firenze 2023

Clementine Mukandanga, Orecchiella Garfagnana, al trionfo nella FIRENZE MARATHON.

Ah, dimenticavo: io correvo con uno zaino sulle spalle; uno zaino invisibile ma ricolmo di passione e imprecazioni. L’anno prima, infatti, la mia “Firenze” era stata costellata di difficoltà e segnata da una crisi che sul finale quasi mi aveva indotto al ritiro. Mi ero ripromesso, dunque, per questa nuova edizione 2023, di portarle tutte con me quelle emozioni, intense e apparentemente negative; sarebbe stata una mia “dolce vendetta”, da vivere in spensieratezza ma con convinto spirito di rivalsa. Ed è andata proprio così: ho misurato le mie forze, preferendo metterne sul campo una parte importante ma non la totalità; per quello, per la prestazione, ci sarebbe stato e ci sarà tempo. Domenica dovevo riconciliarmi con la bellezza di Firenze, con le ali di pubblico che letteralmente ti fanno volare lungo l’Arno, attraverso Ponte Vecchio e fino al traguardo.

Antonio Profita alla maratona di Firenze 2023

Antonio Profita, Orecchiella Garfagnana, al passaggio del 39° km.

E arriviamo così, a quel pugno levato verso il cielo, sul rettilineo del traguardo fiorentino, come a celebrare una vittoria, la mia vittoria.

Torno allora al discorso dell’epica agonistica dell’amatore e vi confesso di ritenere sensata, anzi doverosa, l’esultanza: esprimiamola, in tutte le forme rispettose dei nostri avversari, e a prescindere dal risultato che conseguiamo. Per noi, noi amatori intendo, ogni traguardo è alla fin fine una vittoria; dietro ogni prestazione si nasconde un percorso intimo: quando ci impegniamo nello sport, attingiamo dalla nostra essenza di donne e uomini, ma anche coinvolgiamo un’intera rete di persone, sentimenti, emozioni. C’è chi asseconda le nostre passioni, chi le rispetta pur senza comprenderne il senso più profondo; chi, infine, ne disprezza ogni singola espressione, ma tutti – nessuno escluso – ne risultano coinvolti, quando non addirittura travolti.

Allora, sempre, sul traguardo, manifestiamo gratitudine a noi stessi e a tutto ciò che ci ha consentito di essere lì, in quel momento di personale celebrazione; che è poi il senso della medaglia offerta a ciascuno degli iscritti che concludano una gara: un suggello che diversamente ci potrebbe essere consegnato – insieme al pettorale – col pacco gara ore e ore prima del “via”. Invece no: la medaglia spetta a chi porti a compimento un percorso che vede nella competizione agonistica soltanto la punta dell’iceberg; sotto, sta il resto, che si compone di sfide, entusiasmo, delusione, dolore, ambizione, passione e tanto, tantissimo altro; del nostro essere fragili, ma anche grintosi; delusi, ma anche trionfanti; soli e, per un momento, epici.

*non c’è niente di epico nel disattendere le indicazioni di un allenatore per illuderci di “poter forzare i tempi di una preparazione”; nel racconto quella iperbole torna utile per enfatizzare alcuni spunti un po’ naïf tanto cari a chi pretenda goffamente di poter sovvertire regole fisiologiche, ma ricordiamo sempre che un corpo che non riposa è come un cervello che non si fermi a riflettere per metabolizzare i concetti: a quali risultati, in concreto, potrà poi portarci quella condizione?

Antonio

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