Il senso della misura

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Noi che corriamo, col senso della misura, abbiamo un rapporto un po’ perverso: intimo, se si vuole, ma anche masochistico, crudele, spietato.

Concentrati sui dati, sui parametri, sulle tabelle, ce ne infischiamo – spesso – del contorno e, a testa bassa, cerchiamo di piegare percorsi e distanze agli obiettivi prefissati, a tavolino, magari un anno prima. Quando va bene.

È vero che il discorso varia, e notevolmente, in base alle caratteristiche e alle qualità del runner di riferimento: un professionista è ossessionato dalla limatura dei secondi; un amatore probabilmente va meno per il sottile e si concentra sui ritmi, sul passo medio, in gara quanto in allenamento. Fatto sta che, in generale, per chi nel quotidiano ci conosce “in borghese”, col tailleur o in giacca e cravatta, con gli abiti da lavoro e coi bambini per mano, mutiamo in marziani quando indossiamo ai piedi le scarpette e al polso i nostri misuratori e, senza guardare più in faccia a nessuno, ci immergiamo in un’apnea agonistica che ha come unico scopo il risultato.

Invadiamo strade, marciapiedi e parchi assumendo le sembianze di esseri mitologici, metà gambe – metà orologio, concentrati sul riscontro della prestazione e ossessionati dallo scricchiolio di parametri che, se non in ordine, rischiano di pregiudicare l’obiettivo.

La tabella è un mantra; l’allenatore un profeta; l’alimentazione è curata nei minimi dettagli, così come il ritmo del sonno: non si può sbagliare, pena il senso di colpa per un fallimento che incombe sempre plumbeo nell’aria.

Ma a voler essere sinceri con noi stessi, ognuno intendo, calibrando gli obiettivi e orientandoli verso l’unico dato che ne consente il raggiungimento, dovremmo forse chiederci se in fin dei conti ragioniamo e agiamo illuminati dal più fedele dei nostri alleati che, a mio avviso, è appunto il senso della misura.

E mi spiego.

Paradossalmente, è molto più bello da vedere chi riesca a centrare obiettivi realistici che si sia prefissato, anche senza strafare, piuttosto che chi – ambendo a target stellari – li abbia mancati di un soffio, centrando comunque risultati di rilievo ma apparendo frustrato dal fallimento relativo. Ossia, non di rado si ammirano maratoneti che, ambendo a chiudere la gara sotto le tre ore, tagliano il traguardo freschi e sorridenti per avere raggiunto quel risultato – magari modesto – ma appunto rispondente, calibrato, in linea con il senso della misura di partenza; altrettanto spesso notiamo top runners frustrati per via del secondo sfiorato, del centimetro mancato, del ritmo non azzeccato: insomma, per effetto di una sfumatura non colta o, per ragionare nei termini di questa mia riflessione, per non aver bene interpretato il pieno senso della misura.

Volessimo riassumerla in una espressione sola, potremmo dire che è bello veder correre l’armonia.

È gradevole, tanto per chi interpreta il gesto sportivo, quanto per chi si trovi a esserne spettatore, cogliere questo dettaglio: un procedere di pari passo tra le potenzialità dell’esecutore e la effettiva realizzazione di ciò che si è preparato e per cui ci si è allenati con immedesimazione.
Sembra banale, ma la riuscita di un tale abbinamento – ripeto, per ognuno secondo i propri realistici parametri – rappresenta di sicuro il vertice più alto del wellness verso cui tutti – professionisti, amatori e podisti domenicali – dovremmo indirizzare gli slanci agonistici, semplicemente per fare in modo che un equilibrio di base costante ce li preservi immutabilmente gradevoli e utili, in termini di salute e divertimento.

Ricordo di una recente e azzeccatissima espressione utilizzata sul web da un mio amico e compagno di squadra, Emanuele, che raccontava dell’evoluzione di una sua gara: spiegava di essersi “sentito”, a un certo punto, scarico; non in linea con l’idea che si era fatto della propria interpretazione di quella importante competizione. Emanuele, sostanzialmente e senza esplicitarlo, manifestava di aver ottenuto un risultato fantastico, consistito nell’avere avuto la lucidità e il senso pratico di comprendere – all’istante – di una propria carenza, nell’averla accettata e nell’avere portato al traguardo un sé diverso da quello originariamente immaginato: magari meno performante, ma sorridente e fiero.

Tale obiettivo non è da tutti e, probabilmente, connota il percorso di chi, allenandosi e impegnandosi, sia riuscito a cogliere il significato più pieno del senso della misura: ciò che non significa abbandonarsi a un agonismo piatto, tiepido, privo di vette e di ambizioni alte; no. Significa piuttosto, di volta in volta, sapere “sentire” il momento, la fase, sapere graduare le priorità: in una sessione preparatoria, come in una gara; lungo una salita o nel mezzo di una impervia discesa in campestre; dare tutto o tenere? incrementare o centellinare le energie?

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Antonio Profita al traguardo

Ogni sportivo sarà chiamato, durante la propria carriera, a commisurare svariati input e a stabilire come collocarli nel bouquet ideale rappresentato dall’ottimale programma di preparazione di una gara. Sul contesto del professionista incideranno in prevalenza fattori squisitamente tecnico-agonistici; l’amatore dovrà invece tenere in maggior conto le interferenze della vita di tutti i giorni. Tutti – ma proprio tutti – dovranno essere in grado di padroneggiare il senso della misura stabilendo, prima in teoria e durante la preparazione, poi in pratica e in occasione della competizione, quale sia la combinazione giusta, l’innesco ideale per la realizzazione finale e, soprattutto, per giungere sul traguardo attingendo le ultime boccate d’aria attraverso un inequivocabile sorriso.

Insomma, ragazzi, mai arrendevoli o fiacchi; sempre sul pezzo, ma col faro del senso della misura costantemente acceso!

(Mica come quello della foto che, sul traguardo di una famosissima “mezza”, trafelato, avendo a disposizione mille display ufficiali e altrettanti dati cronometrici della propria risibile prestazione, consapevole della scarsezza del risultato appena ottenuto, invece di abbandonarsi a un sorriso liberatorio, clicka il pulsante del cardio al polso, magari sperando di trovarvi un dato sorprendente, sbalorditivo, insomma: del tutto privo di senso della misura! ????).

di Antonio

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